Fotografare qualcosa, è un’azione divenuta quasi automatica.
Camminiamo, mangiamo, purtroppo spesso pericolosamente guidiamo, e andiamo persino a letto con in mano il nostro telefono, un compagno irrinunciabile, che custodisce tutta la nostra giornata e che nel corso degli anni sta facendo svanire, irrimediabilmente, nell’oblio i ricordi di buona parte delle nostre vite.
Eppure dovrebbe essere il contrario, anzi siamo certi che sia così. Con i nostri dispositivi, filmiamo, fotografiamo e registriamo quasi ogni istante delle nostre giornate, siamo certi di avere tutto sotto controllo, tutto sempre con noi e con la nostra memoria digitale come garante.
Ogni anno vengono scattate un numero impressionante di foto, nel 2020, ad esempio, sono state scattate circa 1,4 trilioni di foto.
Questo numero è in costante aumento grazie alla diffusione degli smartphone e di altri dispositivi con fotocamera integrata.
In media, ogni persona scatta circa 190 foto all’anno. Ma che fine fanno?
In pochi, si premuniscono di salvare i propri dati, le proprie foto e i propri video su Hard Disk esterni.
La maggior parte di noi, scarica di tanto in tanto le memorie dei dispositivi in maniera disordinata pensando: prima o poi sistemerò tutto, archivierò ogni cosa per data. Ma questo succede raramente, nella maggior parte dei casi, quella montagna di ricordi rimane lì, congelata nelle stanze buie delle memorie digitali.
Nel corso degli anni gli Hard Disk si trasferiscono di scatola in scatola, e di trasloco in trasloco finiscono con il perdere via via valore e significato; o nel peggiore dei casi tutti quegli scatti, finiscono con il ritrovarsi all’ interno di un dispositivo non più leggibile con i nuovi lettori.
Addio foto, addio video, addio ricordi?
Non sempre, una minoranza cerca in rete o tra i propri contatti chi è in grado di recuperare quei dati, ma la maggior parte di noi finisce per rinunciarci, abbandonando tutta quella memoria al cimitero dell’obsolescenza tecnologica.
Una voce ci consola: Allora: “Cosa c’era in quell’ Hard Disk? No, niente di importante, o forse si?”
Nel corso del tempo lo scatto di una fotografia è passato dall’ essere un’azione costosa da affidare nelle mani di un professionista, un momento da custodire gelosamente, a un comportamento compulsivo, che sta finendo per svilire di ogni senso le immagini che quotidianamente ritraiamo.
É un diluvio di banalità, fotografiamo di tutto: gamberoni, paesaggi dei quali non conosciamo il nome, il pesciolino rosso, l’ascensore guasto, il pomello della porta, e soprattutto ci ostiniamo come dei matti a fotografare la luna in ogni modo, finendo per avere quasi sempre immagini sovraesposte o fuori fuoco.
Ma il vero soggetto preferito siamo noi stessi.
La paura di sparire nell’ indifferenza umana e nel vuoto digitale ci spinge a fotografarci costantemente. I nostri dispositivi sono muniti di una videocamera predisposta proprio per questo, basta sfiorare il sensore, e il mondo davanti a noi sparisce dall’ inquadratura, proponendoci come per magia come unico soggetto il nostro primo piano.
Ed ecco che cominciamo a fotografare noi la mattina, noi al bagno, noi di pomeriggio, noi la sera prima di uscire, noi la sera quando rientriamo. Noi! Sempre noi stessi.
Viviamo in un delirio egocentrico, foto centrico forse sarebbe meglio dire.
In un tempo ormai lontano, di solito in estate, si comprava un rullino, un aggeggio che custodiva una striscia di pellicola che si inseriva nelle vecchie macchine fotografiche. C’erano quelli a colori e quelli in bianco e nero, da 24 o 36 foto, dipendeva dalla disponibilità economica quale comprare.
In ogni caso, in quel momento però nella nostra mente scattava, è il caso di dirlo, una sorta di meccanismo, che rendeva preziosa ogni foto. Quel rullino doveva essere capace di contenere tutte le nostre emozioni. Sapevamo bene che dopo averle scattate quelle foto bisognava anche andarle a sviluppare e la cosa non costava poco. Il risultato era una manciata di foto, quasi niente rispetto a quello a cui siamo abituati oggi, poche immagini ma selezionate con attenzione.
La famiglia in spiaggia, la partita a flipper al bar del lido, la gita in barca, quella tipa che conobbi quella sera, nostro cugino sul motorino, il nonno sorpreso a dormire sotto l’ombrellone, quella volta che tutti, ma proprio tutti andammo fin sopra il Cristo di Maratea, zio Silvio con la macchina nuova, zio Pinuccio che beve il vino con le pesche, zia Carmela che ride.
Frammenti ingialliti, piccoli pezzi di vita, estati lontane nel tempo ma ancora vive nei nostri cuori, salvati su pochi pezzi di carta custoditi per fortuna da vecchi scatoli, al riparo dal tempo.
E poi c’è l’ultima immancabile foto, quella di cui ci eravamo dimenticati, quella che ci ha aspettato per anni nascosta tra le pagine di un libro, nella quale ci sono, i nostri genitori felici in cucina, in un giorno qualunque che nemmeno ricordavi, ma che sa di irritrovabile felicità.
Articolo tratto dalla mia rubrica Onda Media: Musica, Comunicazione e Tecnologia – pubblicata sulle pagine di Cronache di Napoli, Cronache di Caserta, e sul sito Cronachedi.it