Negli anni 80’ il jazz a Napoli e in Campania era seguito da un manipolo di appassionati e suonato professionalmente da un numero ancora più ridotto di musicisti. Due probabilmente i luoghi più rappresentativi: nella città di Napoli, L’ Otto Jazz club, del rimpianto Enzo Lucci, nella provincia di Caserta, il Jazz Club Lennie Tristano di Aversa.
In quello scenario, in quegli anni, e nel decennio successivo, erano comunque molti i club attivi a Napoli e in provincia dove si suonava musica dal vivo: L’Antica Birreria di Fuorigrotta, che spesso proponeva blues, L’Up Stroke di Coroglio, che inizialmente focalizzò la sua attenzione verso il jazz, L’ Around Midnight, che sulla collina del Vomero divenne luogo di adozione per il chitarrista Antonio Onorato, Il Murat, che nei pressi di Piazza Dante, quando il centro storico di Napoli era sgombro dal chiasso, e dalla promiscuità alimentare imperante, proponeva spesso musica d’autore e cantautori. Prima di tutto questo comunque ci fu la stagione magica del City Hall, del mitico Dino Luglio, uno dei veri e primi operatori culturali della città.
In questo articolo sono certo di dimenticare molti altri club, e anzi mi ripropongo prossimamente di scrivere un saggio su questo argomento. In questa sede quello che ci interessa sottolineare, è che in città nel corso degli anni, si è via via depauperata l’esperienza e le possibilità di suonare e di confrontarsi musicalmente avute dai musicisti nel corso del ventennio precedente.
Nel corso degli ultimi anni, dall’ inizio del nuovo millennio, abbiamo visto sparire jazz club e più in generale club e locali che avevano come core business la musica dal vivo, a favore di friggitorie, ristoranti “tipici” e “turistifici” vari, mi si passi il termine, nei quali la città e la sua storia sono svendute in una girandola di luoghi comuni, che ha trasformato una parte del centro storico in un luogo malsano, e quasi invivibile.
Lo scenario è deprimente, la movida alcolica regna imperante, frotte di ragazzi deambulano sino all’alba, in preda ai fumi dell’ alcol e a chi sa cos’ altro, producendo un rumore di fondo insopportabile, che ha costretto molti abitanti del centro storico a cambiare casa, pur di riuscire a dormire.
In questo scenario resistono solo poche attività culturali, e tra esse meritevole di plauso c’è “da sempre” Il Bourbon Street, uno dei pochissimi club, che continua, “in direzione ostinata e contraria”, fortunatamente per noi, a proporre un cartellone di musica di qualità.
Domani sera, venerdì 4 Ottobre, sul palco del club di via Bellini, sarà la volta del quartetto del batterista Sergio Di Natale uno degli appuntamenti curati settimanalmente dalla direzione artistica di Alberto Bruno, Live Tones.
Con Sergio Di Natale sul palco musicisti di prima livello come il sassofonista Giulio Martino, il chitarrista Federico Luongo, e il bassista Aldo Capasso.
Musicista, compositore, arrangiatore, batterista e didatta, Sergio Di Natale Nasce a Napoli il 26 febbraio del 1967. Con esperienza pluriennale di insegnamento di batteria jazz e pop presso alcuni conservatori italiani, è attualmente titolare di cattedra di batteria pop al conservatorio “N. Sala” di Benevento.
La sua lunga attività concertistica lo vede coinvolto in una serie innumerevole di collaborazioni e formazioni senza distinzione di generi musicali. In molti anni di attività in qualità di batterista orchestrale di produzioni televisive Rai, ha avuto la possibilità di suonare con numerosi artisti nazionali e internazionali; tra i più noti: Dionne Warwick (Mediaset Rete 4), Michael Bolton, Gino Paoli, Pino Daniele, Stadio, Loredana Bertè, Malika Ayanne,Francesco Renga, Noemi, Achille Lauro.
Dal 1994 a tutt’oggi, collabora con il cantautore Joe Barbieri, ha inoltre ha collaborato con Umberto Bindi, Peppino di Capri, Stefano Palatresi, Pietra Montecorvino, Enrico Montesano, Tosca.
In ambito jazz ha collaborato in concerti, festivals, e produzioni discografiche, con molti artisti tra cui: Dee Dee Bridgewater e Salerno Blue Moon Jazz Orchestra, Lino Volpe feat. Richard Galliano, Pippo Matino essential team (feat. Stefano di Battista, Antonello Salis, Fabrizio Bosso, Javier Girotto, Robin Eubanks), Stefano Bollani, Solis Strings Quartet, Daniele Sepe, Marco Zurzolo. Ha suonato in circa 50 dischi di cui 8 come leader solista.
Conosco Sergio da sempre e lo apprezzo come musicista e come uomo di pensiero, cosa sempre più rara di questi tempi. L’ho sentito in questi giorni, ed ho approfittato della sua disponibilità per scambiare con lui qualche parola, che spero possa essere utile a chi ci legge, per conoscere meglio uno dei più apprezzati batteristi italiani.
Quando hai cominciato a suonare e come e perché hai scelto la batteria?
Ho cominciato a suonare all’età di 12 anni, mio cugino aveva una band ed io seguivo le sue prove, mi innamorai della batteria. Mio padre capì subito che la mia era più di una passione, e mi regalò subito una bellissima batteria azzurra, mandandomi a studiare dal mio primo maestro Agostino Riccardi. Successivamente ho approfondito gli studi di solfeggio, armonia e arrangiamento prima con Antonio Solimene e poi al corso di Jazz che ho frequentato in Conservatorio.
Come è cambiato il mondo della musica e del jazz in Campania da quando hai cominciato?
Quando ho cominciato non esisteva internet, quindi se volevi ascoltare un musicista o un progetto dovevi andare ai concerti o comprare i dischi. La musica si evolve con la società, nel bene e nel male. Noi eravamo romantici e davamo un senso a ciò che ascoltavamo forse proprio per la difficoltà di accedervi.
Oggi con un telefonino hai tutta la musica a portata di mano e questo disorienta i giovani e al tempo stesso svilisce la fruizione. I giovani oggi sono restii a manifestare le loro emozioni e per questo si identificano in musica monotona, semplice armonicamente, priva di guizzi melodici, con testi che apparentemente li rassicurano, o dai quali in qualche modo si sentono rappresentati.
Ai miei tempi si ascoltava una canzone per la sua forza melodica e armonica, per l’arrangiamento, l’orchestrazione, per la bellezza del testo o nel caso del Rock, per la sua energia intrinseca e voglia di rivoluzione culturale.
Per quanto riguarda la scena jazzistica Campana devo dire che è molto interessante; ci sono accanto ai veterani molti giovani bravi e preparati. Amano la sperimentazione sulla scia di ciò che avviene nel resto del mondo, in particolare nella scena jazzistica newyorkese, che pur essendo estremamente contaminata rimane sempre rispettosa del “mainstream”. In questo ambito, qualche merito va dato anche ai conservatori che hanno istituzionalizzato il jazz e la popular music.
Chi erano i tuoi riferimenti sul territorio quando hai cominciato?
I miei riferimenti musicali quando ho cominciato, relativamente al mio contesto, erano Tullio De Piscopo, Antonio Golino, Pietro Condorelli, Salvatore Tranchini, Pippo Matino, Marco Sannini, Daniele Sepe, Marco Zurzolo. Con alcuni di loro ho avuto anche modo di collaborare, tra questi: Zurzolo, Sepe, Matino, Condorelli, Sannini. Sul versante della musica strumentale ho avuto successivamente la possibilità di collaborare con i Solis string Quartet, e con Pippo Matino Essential Team. Con Pippo ho avuto modi di suonare anche con diversi musicisti, che ha ospitato di volta in volta, nei suoi concerti.
Artisti del calibro di Stefano Di Battista, Antonello Salis, Robin Eubanks, Gianluca Petrella, Javier Girotto, Fabrizio Bosso, e tanti altri. Inoltre ho avuto la fortuna di collaborare per un periodo con la jazz orchestra di Salerno diretta da Stefano Giuliano e la blue Moon Jazz Orchestra con cui ho avuto il piacere di accompagnare vari artisti come Dee Dee Britgewater.
Ma ho collaborato parallelamente anche con artisti Pop tra cui Umberto Bindi, Peppino Di Capri, Stefano Palatresi, Tosca, Pietra Montecorvino, Joe Barbieri. Non meno importante per me il lavoro e l’esperienza come orchestrale in ambito televisivo, che mi ha dato la possibilità di suonare con numerosi artisti della musica leggera italiana.
Come è cambiato il mondo dei club in Campania?
Per quanto riguarda la situazione dei club Campani, purtroppo devo dire che i gusti musicali del pubblico medio si orientano sempre più verso una musica di facile ascolto, e questo toglie spazio a contesti musicali più complessi come il jazz.
Oggi la musica jazz nei club in Campania è affidata a pochi coraggiosi che investono nella cultura. Il Bourbon Street è uno dei pochissimi club Campani che fa programmazione jazzistica. Siamo felici io e i miei compagni di viaggio, che Il nostro concerto, di venerdì 4 ottobre, apra una rassegna che prevede nel corso dei prossimi mesi una serie di concerti con artisti meritevoli di spazio ed attenzione, e che vi consiglio di andare a sentire.
Da un po’ di anni insegni al Conservatorio di Benevento, ci descrivi questa tua esperienza?
Insegno al conservatorio di Benevento da circa 10 anni. Ho insegnato sia Batteria jazz che pop, prima come contrattista esterno e poi dal 2020 come docente di ruolo di Batteria Pop. Benevento è una città che mi affascina, è ricca di storia e cultura, e il Conservatorio è centrale nella divulgazione culturale e musicale, grazie anche all’opera del direttore Giuseppe Ilario, che promuove sul territorio numerose iniziative e concerti che vedono coinvolti docenti e studenti.
Questo tipo di iniziative, consente agli studenti di avere possibilità di confronto con i loro stessi insegnanti e con il pubblico sempre numeroso, arricchendo il loro bagaglio di esperienze. Inoltre il Conservatorio Nicola Sala di Benevento, oltre a proporre corsi classici, è molto attento e all’ avanguardia, nelle proposte formative relative ai corsi rivolti ai nuovi linguaggi musicali, come il jazz, il pop, la musica elettronica, e ha istituito anche un corso sulla canzone napoletana.
Ci parli del concerto che farai al Bourbon Street?
Proporremo un repertorio di brani personali e anche qualche standards, contenuto nei miei dischi editi da No Voices –Wakepress edizioni Musicali, che guarda in particolar modo alle forme estese nel Jazz; per intenderci, sul modello del celebre standard di Coltrane “Locomotion”, (“Locomotion” è un brano di John Coltrane, fa parte dell’album “Blue Train”, pubblicato nel 1957. Questo album è considerato uno dei capolavori di Coltrane e rappresenta un momento cruciale nella sua carriera. Il brano vide la partecipazione in studio di John Coltrane al sax tenore, Lee Morgan alla tromba, Curtis Fuller al trombone, Kenny Drew al pianoforte, Paul Chambers al contrabbasso, Philly Joe Jones alla batteria N.d.r.) che mette insieme struttura blues e Anatole.
Il progetto prevederebbe l’uso di 3 strumenti a fiato ma per ragioni logistiche ed economiche, ma anche per renderlo più snello, sono affiancato da 3 eccellenti musicisti come: Aldo Capasso al basso, Giulio Martino al sax tenore e Federico Luongo alla chitarra.
Aldo Capasso, è a mio avviso, uno dei giovani talenti della scena musicale jazzistica italiana, Federico, un musicista estremamente poliedrico che lavora molto anche nel pop, Giulio Martino, uno dei veterani della scena jazzistica napoletana e nazionale, musicista estremamente raffinato.
Articolo tratto dalla mia rubrica Onda Media: Musica, Comunicazione e Tecnologia – pubblicata sulle pagine di Cronache di Napoli, Cronache di Caserta, e sul sito Cronachedi.it il 3 Ottobre 2024