Soglia di attenzione: siamo diventati dei pesciolini rossi

La soglia di attenzione è un concetto che si riferisce alla capacità di una persona di mantenere la concentrazione su un determinato compito o stimolo per un periodo di tempo, è un processo cognitivo involontario che dipende da vari fattori biologici, psicologici, ambientali e che fa capo anche alle nostre esperienze. Per calcolare la soglia di attenzione, si possono utilizzare diversi metodi, tra cui test psicologici e osservazioni comportamentali. Ad esempio, si può misurare il tempo in cui una persona riesce a mantenere la concentrazione su un compito specifico prima di distrarsi.

Il concetto di soglia di attenzione ha radici antiche, ma è stato formalmente studiato e definito in tempi più recenti. Le prime descrizioni di problemi legati all’attenzione risalgono al XVIII secolo, quando il medico scozzese Alexander Crichton cercò di definire l’attenzione e i suoi disturbi. Nel corso del tempo, il concetto è stato ulteriormente sviluppato e studiato, specialmente con l’avvento della psicologia moderna e delle neuroscienze. Ad esempio, ricerche recenti hanno mostrato come la soglia di attenzione media sia cambiata con l’introduzione di nuove tecnologie, come gli smartphone.

L’avvento della tecnologia ha avuto un impatto significativo sulla soglia di attenzione delle persone. Con l’introduzione di dispositivi come smartphone, tablet e computer, e l’uso diffuso dei social media, la nostra capacità di mantenere la concentrazione su un singolo compito è diminuita. Uno studio condotto nel 2015 da Microsoft Canada, il cui obiettivo era analizzare come la tecnologia digitale stesse influenzando la nostra capacità di attenzione, ha stabilito che la soglia di attenzione media già allora era scesa a circa 8 secondi, ben 4 secondi in meno rispetto allo stesso test realizzato nel 2000.

Senza osare immaginare cosa sia successo ancora alla nostra soglia di attenzione nel decennio successivo ai test del 2015, i ricercatori già allora affermarono che il nostro livello di attenzione era paragonabile a quella di un pesce rosso. Anzi a dire il vero uscivamo sconfitti anche da loro, che secondo la ricerca canadese riuscivano a rimanere concentrati ben 9 secondi, un secondo più di noi umani. In pratica viviamo in un acquario, nel quale pur facendo sempre lo stesso percorso finiamo per perderci, e pur incontrando gli stessi pesci non riusciamo spesso neanche a riconoscerli: un incubo! Siamo bombardati da un flusso di notifiche e informazioni che ci selezionano e profilano continuamente.

Il processo di omologazione è impressionante, ci aggiriamo nel mondo come copie carbone, clonate e incollate migliaia di volte. Esseri incapaci di distinguere reale e virtuale, “Walking Dead” inconsapevoli, che si tatuano per emulazione, si ubriacano per noia, fotografano compulsivamente se stessi, il proprio cibo e ogni altra cosa in grado di allontanare dalla propria mente la paura dell’anonimato. Scrolliamo gli schermi dei nostri dispositivi come ipnotizzati, in un meccanismo involutivo costante, ci stiamo disabituando a leggere, guardiamo solo le figure, ci stiamo trasformando in uomini preistorici digitali.

Ci hanno convinto che i contenuti devono essere brevi e veloci, semplici, banali, perché non abbiamo tempo. Eppure trascorriamo in media, quasi cinque ore al giorno davanti ai nostri schermi, per lavoro o per diletto. In questo scritto ci sono almeno 2 errori di battitura, neanche il correttore Word li ha trovati, anche il suo livello di attenzione è basso!

Articolo tratto dalla mia rubrica Onda Media: Musica, Comunicazione e Tecnologia – pubblicata sulle pagine di Cronache di Napoli, Cronache di Caserta, e sul sito Cronachedi.it